Quest’anno la Festa del Muzzuni non si terrà a causa dell’emergenza sanitaria. In attesa dell’edizione 2021 proviamo a raccontarvi a modo nostro perchè questa festa è così speciale.

Gli abitanti del luogo lo sanno bene: la Festa del Muzzuni è molto più di un’occasione per osservare il piccolo centro nebroideo di Alcara Li Fusi traboccare di vita, grazie alle centinaia di studiosi e visitatori che ogni 24 giugno vi prendono parte.

Quella del Muzzuni è la più antica festa popolare d’Italia, le cui radici si disperdono nella storia, intrecciando al mito gli antichi culti popolari. In origine la festa pagana di matrice ellenica coincideva con il Solstizio d’Estate (21 giugno). Con l’avvento del Cristianesimo i festeggiamenti si annodarono a quelli in onore di San Giovanni Battista, martire decapitato e celebrato il 24 giugno.

Nella Festa del Muzzuni sacro e profano coesistono in un perfetto equilibrio di luce e ombra.

La prima parte della giornata si concentra sulle celebrazioni religiose, scandite da messe e processioni. Si sfila per il paese puntellato di altarini abbelliti con pregiati tessuti bianchi, lavorati a mano ed esposti con fierezza dalle proprietarie. Conclusi i riti sacri, si entra nel cuore pulsante e arcaico della festa. 

I “muzzuni” sono le brocche di terracotta dal collo mozzato avvolte da foulard di seta colorati. Vengono impreziosite con gli ori di famiglia e decorati con spighe, garofani rossi, lavanda, rosmarino e grano germogliato al buio. Una volta pronti, i muzzuni vengono esposti sugli altari, adesso inondati dal colore delle pezzare, tessuti dai motivi geometrici filati su telaio di legno.

In questa cornice celebrativa, la figura femminile riveste un ruolo centrale: le giovani donne sono incaricate di collocare i muzzuni sugli altari, perpetuando l’antica funzione delle sacerdotesse di Demetra. L’intera Festa è infatti permeata dalla simbologia legata al culto della fertilità (il muzzuni ha un’indubbia forma fallica), della vita che si rinnova attraverso la frenesia amorosa e la mistificazione della morte, tipica del rito misterico di iniziazione che veniva anticamente professato sui Monti Nebrodi con la complicità della notte (data la sua accentuata sfrenatezza) in onore di Dioniso.

Ed è fino a notte fonda che dura la festa, tra canti polifonici amebei accompagnati dal ritmo tribale dei tamburelli, dal suono del flauto, della fisarmonica. Le urla dei cantori (le chianote) si levano per le stradine della Motta, la parte più antica del paese. Si va a caccia degli angoli più suggestivi dei quartieri invasi dai colori, dalla musica dei gruppi folkloristici e da canti d’amore. 

Ci si lascia andare in balli sfrenati intorno al fuoco (u zuccu di Sanciuvanni) che segnano l'inizio dell'estate e si celebra l'amicizia, attraverso il tradizionale scambio di confetti che suggella i legami tra compari e commari (detti appunto “di San Giovanni”) destinati a consolidarsi per il resto della vita.

Tra l’euforia trionfa il desiderio di stare insieme, ricordando l’antica usanza di chi aspettava u muzzuni per dichiararsi alla propria amata. Per i contadini abituati alla vita solitaria dei campi, era l’occasione di ritrovarsi insieme a tutti gli abitanti in paese. L’eco di un inno alla vita sopravvissuto sino ai giorni nostri, e che risveglia sopite emozioni.

Elena Favazzo

Photo credits: Maurizio Gioitta